A cura dell’ Avv. Valeria Saronni
I pregiudizi subiti dai congiunti di una vittima vengono definiti danni riflessi o di rimbalzo, perché il danno, pur traendo origine da un illecito che ha colpito la vittima principale, può produrre dei nocumenti anche a terzi, le cosiddette vittime secondarie, le quali acquisiscono un diritto al risarcimento iure proprio.
Una recente sentenza della Cassazione, la n.7748 del 2020, ha precisato tuttavia che il pregiudizio sofferto dai familiari non è un danno riflesso, ma bensì diretto.
Secondo i giudici di legittimità, il danno subito dai prossimi congiunti è infatti una conseguenza diretta delle lesioni inferte al parente, che producono quindi vittime diverse, ma ugualmente dirette. Secondo la Corte di Cassazione quindi, è improprio parlare di vittima principale e vittime secondarie o di rimbalzo.
Sul punto, la Suprema Corte ha, infatti, precisato che:
“In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita”.
Il danno subito dai parenti del danneggiato può essere sia di natura non patrimoniale (biologico, morale ed esistenziale), sia di natura patrimoniale (danno emergente e lucro cessante).
Il danno biologico è una lesione all’integrità psicofisica di una persona, quindi, una vera e propria perdita di salute, come può essere ad esempio una malattia.
Si considera invece danno morale la sofferenza d’animo interiore e la perturbazione soggettiva patita dai familiari a causa delle lesioni subite dal proprio caro, mentre per danno esistenziale si intende il peggioramento e lo stravolgimento della qualità della propria vita.
Secondo la sentenza in oggetto, il danno subito dai parenti del macroleso è risarcibile anche quando i pregiudizi non consistono in un totale sconvolgimento delle abitudini di vita, in quanto tale conseguenza è estranea sia al danno morale, sia al danno biologico.
Tali pregiudizi possono essere dimostrati anche tramite prove presuntive, tra le quali il rapporto di parentela stretta intercorrente tra la vittima principale e quelle secondarie, in quanto si presume che i genitori e i fratelli soffrano per le gravi lesioni invalidanti riportate dal proprio parente. Come hanno, difatti, precisato i Giudici di legittimità “Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni”. Secondo la pronuncia in commento, il rapporto di stretta parentela intercorrente tra la cosiddetta vittima primaria e le vittime secondarie (i congiunti) fa presumere, in base all’id quod plerumeque accidit che genitori e fratelli soffrano per le gravi lesioni permanenti riportate dal congiunto. Tali sofferenze non devono necessariamente tradursi in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”, «in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita».
La Corte di Cassazione, nella sentenza n.23469 del 2018, ha ribadito e precisato che il pregiudizio da perdita del rapporto parentale è un danno non patrimoniale iure proprio del familiare, ristorabile non solo in caso di decesso del proprio caro, ma anche quando il rapporto risulta gravemente leso a cause delle menomazioni psicofisiche riportate dal congiunto.
In particolare la Cassazione lo definisce come quel danno che si concreta “nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. civ. Sez. III Ord., n. 9196/2018).
Uno delle principali questioni riguarda i soggetti legittimati a richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Se da un lato, infatti, risulta scontato riconoscere la risarcibilità della lesione dei rapporti familiari (genitori/figlio e tra fratelli) che godono della tutela costituzionale garantita dagli art. 2, 29 e 30 Cost., lo stesso non si può dire di quei rapporti estranei alla famiglia c.d. nucleare. La platea dei soggetti ai quali viene riconosciuto tale risarcimento è stata via via ampliata nel corso degli anni.
In primo luogo, la Corte – seguendo l’orientamento giurisprudenziale prevalente sopra indicato – ritiene che la lesione del rapporto parentale debba essere riconosciuta a prescindere dal vincolo di sangue tra i soggetti e che debba basarsi, piuttosto, sull’effettivo legame presente tra i due il quale deve essere caratterizzato da stabilità, consuetudini di vita e abitudini comuni tipiche del rapporto padre-figlio.
La Cassazione, correggendo la motivazione della sentenza di secondo grado, afferma come “Il danno [da perdita del rapporto parentale] deve, in particolare, essere riconosciuto in relazione a qualsiasi causa interrompa questo rapporto, che non deve essere necessariamente la morte”.
Sul punto il Tribunale di Milano nella redazione delle Tabelle “edizione 2018” ha recepito la giurisprudenza formatasi negli anni indicando nella relazione esplicativa (pag. 3) che “il Giudice potrà riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale anche a soggetti diversi da quelli previsti in Tabella, purché venga fornita la prova di un intenso legame effettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria a seguito della morte”.
Per quanto riguarda i sogget legittimat a richiedere il risarcimento, la progressiva apprezzabilità dei rapporti di fatto ha implicato che la sussistenza di un vincolo giuridico non rappresenta più una condicio sine qua non ai fini dell’ottenimento del ristoro per i danni sofferti: possono infatti sussistere situazioni in cui al legame formale non corrisponde sul piano effettivo la solidarietà e l’affetto, che dovrebbero rappresentare il nucleo della relazione familiare. Mentre possono esistere rapporti di fatto, come la c.d. convivenza more uxorio, che, pur privo di una legittimazione formale, risulta imperniata su valori, un tempo, attribuiti alla famiglia strictu sensu.
È stato così trasfigurato il concetto di famiglia, non più innestato sulla mera unione matrimoniale e sul rapporto parentale, bensì diventando “omnicomprensivo”, deducibile cioè dalla sussistenza dei valori di comunanza di vita morale e materiale tra gli individui. La predetta evoluzione è da ricondurre all’interpretazione estensiva dell’art. 8 Cedu; a titolo esemplificativo, in tema di rapporto tra minore e il compagno del genitore, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che l’area di applicazione del suddetto articolo andrebbe estesa anche alle relazioni familiari di fatto, ma è necessario che a tal fine sussistano determinati presupposti, quali la qualità dell’affectio e la sua stabilità (Cfr. Cort europea dei diritti dell’uomo 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia, www.giustizia.it, § 48). In linea con tale esegesi, la giurisprudenza italiana ha confermato che è risarcibile il danno non patrimoniale patito dal convivente more uxorio a causa dell’uccisione del figlio unilaterale della partner, purchè venisse dedotto e provato un legame familiare saldo e longevo tra l’attore e la vittima (Cfr. Cass. 21 aprile 2016, n.8037, in Foro italiano, 2017, I, 296, con nota di Patti, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale).
La Corte di Cassazione con Sentenza n. 8037/16 ha riconosciuto la risarcibilità del danno patito dal convivente more uxorio per morte del figlio del compagno.
Va precisato che secondo l’indirizzo uniformemente condiviso dai tribunali italiani, i parenti stretti di un soggetto rimasto macroleso a seguito di un illecito hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale quando la menomazione subita dal proprio caro sia stimabile in un danno biologico permanente del 60%. Tuttavia, nella sentenza n.2788 del 2019, la Cassazione ha riconosciuto il danno da lesione del rapporto parentale in favore del coniuge per le lesioni riportate dalla moglie a causa di un intervento chirurgico colposamente inidoneo e quantificate col 30% di invalidità permanente, abbattendo quindi il precedente muro del 60%.
Anche nei criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale diffusi dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano viene specificato che, la misura del danno non patrimoniale risarcibile alla vittima secondaria non è vincolata al danno biologico sofferto dalla vittima primaria. E anzi, per la liquidazione del danno è necessario tenere soprattutto conto della natura e intensità del rapporto tra il danneggiato e il congiunto e la quantità e qualità dello stravolgimento della vita familiare che, come abbiamo visto precedentemente, può essere dimostrata anche mediante presunzioni.
La liquidazione del risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, trattandosi di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., avviene “in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata” (Cass. civ., sez. III, ord. n. 907/2018). In particolare, nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve valutare tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
Vi è da sottolineare infine che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed eccezionali (Cass. civ., sez. III, n. 23469/2018).